ABHANERI Vengono chiamati Baoli , Baori , Kund o Vav , a seconda della regione e in inglese stepwell . Sono i magnifici pozzi e cisterne dell’India occidentale, che per secoli hanno garantito l’approvvigionamento idrico e la sopravvivenza a queste regioni secche. Originari del Gujarat sud-occidentale dal VI e il VII secolo d.C. si cominciarono a scavare giganteschi pozzi per raggiungere la falda acquifera e garantirne così l’accesso alla popolazione durante tutto l’anno, in una regione dove i violenti ma brevi allagamenti monsonici si alternano da sempre con lunghissimi mesi di totale siccità. Costruendo dal basso verso l’alto, le pareti dei pozzi vennero lastricate con enormi blocchi di pietra e i versanti muniti di scalinate.
L’idea si rivelò molto pratica e presto si diffuse nella zona occupata dall’attuale Rajasthan dando origine a migliaia di pozzi e serbatoi analoghi, punteggiando la regione con deliziosi edifici pubblici, fino al XVIII secolo, quando il Raj britannico soppiantò il loro uso per ovvie questioni igieniche con l’installazione di acquedotti, tubature e rubinetti, sancendone la progressiva decadenza e poi l’ abbandono. Le straordinarie geometrie delle scalinate nei bacini e i padiglioni, le decorazioni con cui vennero attorniati o ricoperti i pozzi – oggi spesso abbandonati e purtroppo a volte ridotti a latrine o immondezzaio – costituiscono una particolarissima forma di architettura unica di questa zona che solo recentemente le autorità locali competenti stanno riscoprendo e valorizzando. I pozzi a gradini del Gujarat penetrano la falda acquifera e si riempiono per trasudamento; il livello dell’acqua al loro interno dipende dunque dalle precipitazioni o le siccità della regione e quando questo è alto, come dopo il monsone, sarà sufficiente scendere pochi gradini per abbeverarsi. In periodi di siccità bisognerà scendere invece fino a profondità pari a nove piani, dove l’ultima rampa di scale scompare nell’acqua limpida. Ogni piano può essere attrezzato con padiglioni colonnati, dove ci si può fermare a godere il fresco. Quelli del Rajasthan, invece, sfruttano spesso esclusivamente le piogge monsoniche, catturate nello scavo dove viene filtrata dal finissimo limo – gran parte del terreno della regione è di origine alluvionale – fino a raggiungere il fondo ricoperto di argilla, per essere poi disponibile nella stagione secca.
Durante le ore più calde anche gli uomini riposavano ciarlando nei padiglioni ai vari piani dei pozzi, ma l’acqua è da sempre profondamente associata al genere femminile, in India. I pozzi a gradini non avevano infatti solo una funzione pratica: si trattava di un luogo di ritrovo riservato specialmente alle donne, alle quali è quasi sempre affidato l’approvvigionamento d’acqua per la casa. Recarsi alla fonte è spesso ancora oggi nei villaggi l’unica attività indipendente concessa alle ragazze e nella frescura dei pozzi le giovani potevano ridere, giocare, chiacchierare con altre donne, come loro altrimenti isolate dalla stretta cultura patriarcale locale. E poi vi era come sempre il lato religioso: in ogni pozzo o serbatoio d’acqua vive Devi, la dea madre, alla quale chiedere conforto e grazie bagnandosi nelle sue acque o invocando il suo nome.
Non sorprende dunque che in quasi tutti i pozzi e serbatoi si trovi a tutt’oggi un piccolo santuario dedicato a lei dedicato, adornato con ghirlande di fiori, onorato con offerte, incensi e lucerne. Il termine Mata, madre, compare all’incirca in un terzo dei nomi dei pozzi della regione: Mata Bhavani, Matri Mata, Bhadrakali Mata etc.